Ricordo le gite che facevamo, io ragazzino, con la mia famiglia e con gli amici ospiti, alle "Grotte di Palinuro" con la barca che mio padre aveva in società con la famiglia Marino per la pesca con la "Menaica".
La barca era una "Sorrentina", lunga quasi dieci metri; aveva tra banchi (i "vanchi"), compreso quello di coperta a prora, oltre i due banchi, a centro barca, dove era alloggiato un motore a benzina residuato bellico. La barca era armata con vela latina.
Ci imbarcavamo alle otto in punto di mattina. Mio padre si sedeva a poppa, al timone, come in trono. Il posto di donne e bambini era "a pagliuolo" a poppa; ma io avevo un posto privilegiato, seduto ai piedi di mio padre su un banchetto rialzato rispetto al livello del "pagliuolo" di poppa ("a grata", come veniva chiamato), che serviva da appoggio per i piedi del timoniere.
Mio padre indossava pantaloncini corti e maglietta e so proteggeva dal sole con un cappello di paglia, un "panama".
Gli uomini si sedevano sul bordo della murata; i marinai, due, stavano a prora o si muovevano continuamente per tutta la barca da poppa a prora, quando eravamo in manovra.
Il capobarca era Mariano, l'amico di mio padre; e se mio padre mi appariva al timone come un re assiso, sul suo trono, Mariano per me era come un Dio, grazie al quale la barca prendeva vita, quando Mariano, con tre energici colpi di manovella metteva in moto il motore scoppiettante, o quando comandava le manovre.
Era il mese di giugno; il mese della pesca delle alici di menaica.
Quando dopo la gita ritornavamo, prima del tramonto, a Pisciotta e sbarcavamo, noi gitanti, sulla spiaggia, era allora, e solo allora, che Mariano con i suoi marinai, a cui se ne univano altri tre a bordo, oltre due "lumisti" sulle "lanze" a ricmorchio, che iniziava, dico solo allora, la loro giornata di pesca.
Quegli uomini, silenziosi sempre, vocianti solo quando occorreva, e solo quanto bastava, con frasi secche e parole brevi, quei pescatori di "menaica",dopo averci portato per mare tutta la giornata, solo allora al tramonto, iniziavano davvero la loro pesca ed il loro lavoro.
I compagni che erano rimasti a terra, e che si univano a loro per allestire la barca, non erano stati meno operosi e liberi da fatica. Nel corso della mattinata avevano steso ad asciugare sulla spiaggia in lunghe file, le reti di cotone.
Avevano preparato i "lumi" per la notte. Ogni barca, infatti,portava a rimorchio una piccola lancia sulla quale era sistemato il "lume", un grande globo di vetro all'interno del quale più "calze" come i filamenti di una gigantesca lampadina, si infiammavano, grazie ad una miscela di aria e di petrolio, o carburo ed acetilene. Si accendeva così una luce vivissima al cui richiamo le alici, dal fondo, accorrevano per rimanere, inconsapevoli loro malgrado,impigliate nella "menaica", la rete che la barca aveva steso intorno alla piccola lancia che, solitaria, recava sulla poppa il richiamo del "lume".
Poi, sempre nel corso della giornata, era toccato sempre ai quei compagni che erano rimasti a terra, il compito pesante di raccogliere la rete asciutta. Essa veniva avvolta sulle spalle di ciascun marinaio come una matassa; e poichè, per la sua lunghezza e pesantezza (non si dimentichi che era gravata dal peso dei piombi fissati sul lato inferiore per farla affondare)
un solo marinaio non era sufficiente, si formava, a mano a mano che la rete veniva raccolta dalla spiaggia, una fila composta da tre, quattro o cinque uomini che avanzavano curvi, ciascuno sotto la sua matassa, tutti uniti insieme, nel loro unico destino di pescatori di "me¬naica", dalla loro rete, come anelli di una catena.
Ora, dopo il ritorno dalla nostra "gita",tutto l'equipaggio si riuniva.
Ricordo che mentre noialtri "gitanti",dopo essere sbarcati,facevamo ritorno, stanchi, alle nostre case lungo la spiaggia, una bella signora forestiera si rivolse, stanca, sorridente e soddisfatta per la bella giornata di mare, a Mariano, il capobarca, e gli disse: "Bene, grazie, grazie; ora anche voi andrete a casa a riposarvi".
"Signora mia bella - le rispose Mariano, con i suoi occhi lucenti di vita e di ardimento, e con il suo sorriso stanco, ma fiero - adesso noi andiamo a pescare; tutto è pronto, il tempo di imbarcare la rete e salpiamo; è ora che incomincia il nostro lavoro"
"E quando tornerete?" chiese la bella signora con premurosa ansia.
Mariano, asciutto: "Domani mattina" (" cra' matina").
Le lance con i lumi - erano due, perchè la barca di Mariano ne portava due, perchè era la più grande - aspettavano già al di fuori della scogliera, ferme sui remi, ciascuna con a bordo un solo marinaio, il lumista.
Era il tramonto, nel mese di giugno: ad una ad una, in fila, con ordine ed in silenzio, uscivano, dall'interno della laguna protetta dalla scogliera artificiale, le "menaiche".
Erano le barche dei miei marinai, i marinai del mio paese, che da secoli, a quella stessa ora, uscivano per la pesca delle alici.
Le loro piccole barche con il "lume", i "vuzzi" (i "gozzi",in italiano) le aspettavano, e si univano, ciascuna alla sua barca che le prendeva a rimorchio.
Le barche uscivano a remi. I marinai vogavano senza parlare e senza far rumore. Il fiato non veniva sprecato in inutili e sciocche parole, i remi, ben affondati in acqua da mani ferme e braccia misurate, lavoravano muovendo con armonia l'acqua.
La loro forza non erano la violenza o gli spruzzi, ma la spinta lenta, regolare, sincrona e concorde.
Una volta fuori le barche dei miei pescatori armavano la vela latina; alcune già montavano uno scoppiettante residuato di guerra preso da un vecchio camion militare a benzina.
Si allontanavano verso l'orizzonte, dapprima tutte in fila,e poi, a mano a mano che sparivano, si separavano le une dalle altre e ciascuna andava a "calare" la rete nella sua acqua preferita.
IL sole calava dietro la punta di Acciaroli, il cielo spegneva la sua luce e le stelle si accendevano l'una dopo l'altra.
Dopo poco io dormivo, stanco, con la mente carica delle visioni di quella giornata di mare appena trascorsa, e, naturalmente sognavo i miei marinai che pescavano, nel buio, solo con le luci tremolanti dei "lumi", le alici con la "menaica".
Al mattino, quando appena sveglio, andavo alla spiaggia, distante poche centinaia di passi dalla nostra "casa di mare" dove trascorrevamo l'estate, i miei marinai erano già tornati, avevano già sbarcato i pesci, stavano già sciacquando le reti in acqua. Mariano era sempre lì, a dare ordini al suo equipaggio ed a lavorare, lui il capobarca, più di tutti.
Ma quando dormivano, quando mai riposavano - mi chiedevo con ammirazione - quando si fermavano, i miei pescatori di "menaica"?
Nello Tambasco
I PESCATORI DI MENAICA
PRIMA CHE IL SOLE TRAMONTI
SUL MARE ANCOR MOSSO DAL VENTO,
E IL RAGGIO VERMIGLIO, A PONENTE, DISEGNI IL NETTO ORIZZONTE,
LA SPIAGGIA OPEROSA SI DESTA PERCORSA DA EROI PAZIENTI, CHE, GRAVI DI PEZZI DI RETI, DI PIOMBI, DI LUMI, SPASELLE, SI IMBARCA IN ORDINE SPARSO, CIASCUNO SULL"ARMO CHE E' SUO.
LESTE LE BARCHE SULL'ONDA CHETA, AL RIPARO DAL VENTO,
TRA POCO USCIRANNO DA QUESTA SCOGLIERA, CHE IO GUARDO DALL'ALTO.
E' LA PESCA ANTICA E GLORIOSA
CHE HA NOME, IN CILENTO, "MENAICA". A FORZA DI REMI, SALPATE,
LE BARCHE ORA ARMAN LA VELA.
OH VELA LATINA, CHE IL "CARO" GOVERNA DA P.RORA, E LA SCOTTA, DA POPPA, CON BRACCIA SICURE!
ROTTA OVE IL SOLE TRAMONTA.
SON DIECI, SON VENTI, SON TRENTA LE "MENAICHE", CHE VANNO LA' DOVE LE ALICI LUCENTI, " A CORSO"
O COL LUME, AL LORO DESTINO
VERRANNO.
RIVEDO I MIEI PESCATORI
NEGLI OCCHI DI ATTENTO FANCIULLO. RISENTO GLI ODORI DEL SALE
CHE, BIANCO CUSTODE, RIEMPIE
TREZZAROLE" DI ALICI CERCATE, PESCATE, "SCAPATE", DISSANGUATE.
SON DI "MENAICA" LE ALICI SALATE.
Nello Tambasco